Marcus Mosiah Garvey (1887-1940) fonda nel 1914 in Giamaica la Universal Negro Improvement Association (UNIA), che predica il ritorno dei neri strappati dalla schiavitù al continente africano in Etiopia, unico Stato africano all’epoca – prima dell’occupazione italiana – libero dal colonialismo bianco. Movimento politico, il garveyismo, ha anche accenti religiosi, e sostiene che il Dio della Bibbia deve essere “adorato attraverso gli occhiali dell’Etiopia”. Quando il 2 novembre 1930 Ras Tafari è incoronato imperatore dell’Etiopia con il nome di Hailé Selassié I (1892-1975), alcuni dei seguaci di Garvey in Giamaica attribuiscono all’avvenimento un significato profetico. Dal nome di Ras Tafari nasce un movimento “rastafariano” che considera l’imperatore etiope – senza che questi, apparentemente, ne sappia nulla – una figura messianica, l’incarnazione di Dio stesso vivente sulla Terra.
Rivoluzionario, anti-bianco, ma insieme carico di riferimenti alla Bibbia, il movimento si sviluppa in Giamaica, poi tra la gioventù di colore negli Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Suriname, Europa adottando usanze distintive, come l’abitudine anche per gli uomini di raccogliere i capelli in treccine annodate (dreadlocks) e l’abbondante consumo di allucinogeni (ganja), cui è attribuito un ruolo sacro. Nel 1958 una “Convenzione Universale” organizzata a Kingston rivela che il movimento ha migliaia di seguaci in Giamaica, dove costituisce anche un problema per l’ordine pubblico. Nel 1966 Hailé Selassié visita la Giamaica, accolto da una straordinaria folla adorante: ma non esprime alcun desiderio di prendere la testa del movimento rastafariano. Detronizzato da una rivoluzione comunista, l’imperatore muore nel 1975. I rastafariani non credono alla notizia della sua morte, interpretata come un tentativo di disinformazione da parte dell’uomo bianco, ovvero come l’assunzione di una forma spirituale in cui Hailé Selassié può operare in modo più potente ancora che attraverso un corpo di carne. Un ruolo decisivo alla diffusione mondiale del movimento ha il cantante Bob Marley (1945-1981) attraverso la musica reggae.
Soprattutto in Inghilterra, i rastafariani sono spesso stati protagonisti di tumulti e rivolte: ne sono nate commissioni di inchiesta, che hanno in genere concluso raccomandando maggiore comprensione per la cultura rasta, al di là delle facili criminalizzazioni. Dal punto di vista organizzativo il movimento rastafariano è una costellazione di gruppi indipendenti, molti dei quali (ma non tutti) aderiscono alla Ethiopian World Federation. In Italia i membri del movimento lo hanno conosciuto per lo più attraverso contatti con il mondo della musica reggae, e per la maggior parte vivono in grandi centri urbani.
Negli scritti sacri elaborati dal movimento rastafariano Dio (Jah) è uno “spirito” che pervade tutti gli uomini e si incarna nella storia per guidare il suo popolo attraverso successive reincarnazioni dello stesso messia: Mosè, Davide, Salomone, Gesù Cristo e infine Hailé Selassié. La Bibbia è riletta facendo coincidere i salvati con i neri, Babilonia con il mondo degli uomini bianchi, e la nuova Gerusalemme con l’Etiopia. Il concetto di “neri” è peraltro piuttosto vasto perché comprende, per esempio, i surinamesi (lo stile rastafariano – non sempre la religione – è stato adottato da diversi calciatori olandesi famosi, che sono di origine surinamese), i maori della Nuova Zelanda, gli aborigeni australiani. Tutti questi “neri” sono insieme i discendenti delle “tribù perdute” di Israele e la reincarnazione degli antichi israeliti. Loro compito è riscoprire l’identità nera, frustrata e negata dai bianchi, attraverso una serie di pratiche culturali particolari: l’acconciatura, la musica, alcuni divieti alimentari di radice biblica (come quello della carne di maiale), l’uso della ganja (peraltro limitato agli allucinogeni naturali, con esclusione delle droghe sintetiche), l’adozione di una nuova “afro-lingua”, l’abbigliamento in colori particolari (nero, ma anche rosso, che rappresenta il sangue dei martiri; verde, il colore dell’Etiopia e della ganja; oro, il colore della Giamaica).
Nelle tendenze più estreme non mancano temi anti-bianchi spinti fino al razzismo, per quanto questi si vadano sempre più stemperando in una visione universalista, con l’adozione dello stile rastafariano da parte di sempre più numerosi bianchi. Benché tra i vari gruppi indipendenti esistano sfumature, tutti i rastafariani accettano Hailé Selassié come figura messianica, quando non come “Dio vero e vivente”. E tutti ritengono che la salvezza per i neri consista nell’“uscire da Babilonia”, anche se oggi questa “uscita” non è necessariamente interpretata in senso letterale come emigrazione verso l’Etiopia. Parafrasando quanto Gesù diceva del “mondo”, molti rastafariani pensano che si può vivere in Babilonia (cioè nei paesi occidentali) senza essere di Babilonia, riconquistando l’identità attraverso le pratiche rastafariane. Queste ultime non comprendono una vera e propria liturgia, ma piuttosto momenti di festa e riunioni di “ragionamento” (reasoning) in cui si “ragiona” di teologia e di interpretazione dei testi biblici. Non c’è bisogno di chiese, cappelle o luoghi di culto perché Dio, anche se presente in modo eminente nel messia Hailé Selassié, “pervade” ogni persona umana e, da questo punto di vista, in ciascuno si “incarna”.
Nuove prospettive storico-teologiche sui rastafariani emergono peraltro dall’importante studio di William David Spencer Dread Jesus (1999). Spencer getta qualche luce sulle origini del movimento, notando che alcuni dei suoi primi pionieri erano membri di una organizzazione chiamata Grande Fraternità Antica del Silenzio, o Antico e Mistico Ordine dell’Etiopia. Questa organizzazione faceva parte del vasto movimento noto in tutta l’area di lingua inglese come “massoneria Prince Hall”, una massoneria “parallela”, riservata agli afro-americani. Spencer mette in luce come molti elementi rituali, ma anche dottrinali, del movimento rastafariano derivino precisamente dalla massoneria, a cominciare da uno dei temi più caratteristici e cari ai rastafariani: il nome “Yah” per indicare Dio. Secondo Spencer, questo nome deriva dal primo componente del trinomio sacro “Yah-Bul-On” nel grado massonico dell’Arco Reale (un modo di indicare la divinità che ha causato, anche recentemente, numerose polemiche). È attraverso autori massonici che i primi rastafariani si interessano di temi esoterici, e talora interpretano la personalità divina, Yah, in senso panteistico. La generazione successiva scoprirà, lungo la stessa linea, l’Ordine della Rosa-Croce AMORC, da cui trarrà altri elementi di carattere esoterico.
Una delle parti più importanti nel libro di Spencer è consacrata alla reazione del movimento rastafariano (divenuto ormai internazionale) alla morte dell’imperatore Selassié, nel 1975. Nei primi mesi, molti rastafariani pensano – come si è accennato – che l’imperatore non sia morto e che si tratti solo di menzogne diffuse dalla stampa. Oggi, però, pochi rastafariani si attendono la resurrezione o riapparizione fisica di Hailé Selassié. L’ipotesi è che la morte di Hailé Selassié abbia portato a una separazione di elementi contraddittori che coesistevano con qualche difficoltà nel sincretismo rastafariano. Se è vero che pochi rastafariani hanno seguito il consiglio di Selassié e hanno aderito alla Chiesa Ortodossa Copta, non è meno vero che sono nati nel mondo rastafariano movimenti di notevoli dimensioni – come le cosiddette Dodici Tribù d’Israele – che reinterpretano la religione in senso piuttosto cristiano. Per questa parte del movimento, Selassié è la figura profetica più importante della storia, ma rimane subordinata all’unico figlio di Dio, che è Gesù Cristo.
All’estremo opposto – e per reazione – si è sviluppato il movimento “bun Christ” o “burn Christ” (“bruciamo Cristo”), che – soprattutto in occasione di concerti reggae – brucia simboli cristiani. Per la verità, nelle numerose interviste realizzate da Spencer, anche i più arrabbiati seguaci di questa frangia dichiarano che la loro polemica è contro il “Cristo dell’uomo bianco”, mentre il “vero” Gesù Cristo rimane un profeta “nero” assolutamente rispettabile. Certo, tutto il movimento rastafariano è anticattolico, sia perché accusa la Chiesa cattolica di avere a suo tempo benedetto l’invasione fascista dell’Etiopia (un sacrilegio, secondo i rastafariani), sia perché diversi “etiopisti” venivano da famiglie protestanti fondamentaliste o avventiste dove forme popolari di anticattolicesimo erano piuttosto diffuse. L’uscita dal cristianesimo, per alcuni gruppi, avviene peraltro tramite idee che derivano precisamente (lungo una linea che risale ai fondatori) da spunti di tipo massonico-esoterico ovvero orientaleggiante. In questi gruppi la morte di Selassié è spiegata precisando che l’anima dell’imperatore, l’essenza divina Yah, deve essere distinta dalla sua manifestazione corporale. Pur essendosi manifestata in Selassié in modo eminente, questa essenza divina è presente come scintilla in ogni fedele rastafariano (secondo altri gruppi, in ogni persona umana), con una evidente deriva in senso panteistico e gnostico.
Secondo Spencer, il movimento rastafariano si trova oggi a un bivio, e l’esito sarà probabilmente la separazione fra due branche diverse. La prima preciserà sempre di più la sua identità come movimento di carattere esoterico, gnostico, non cristiano, nella linea di certe sue origini di tipo massonico ovvero orientaleggiante. Una seconda branca – rappresentata oggi da un gruppo diffuso internazionalmente, le Dodici Tribù di Israele – potrà evolversi in direzione di un movimento pienamente cristiano, predicatore di un cristianesimo “selassiano” nel senso di considerare l’imperatore Hailé Selassié come un testimone e un profeta, non come una figura divina o messianica.
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